RESIDENZA
THE NOWNESS OF THE EVERYDAY
GIUGNO 2022 — MARZO 2023
residenza terminata
Residenza su invito
Casa degli Artisti è lieta di ospitare in residenza Alessandro Di Giampietro.
Il progetto di Alessandro Di Giampietro per Casa degli Artisti di Milano, lo storico edificio del primo Novecento di recente riaperto al pubblico dopo importanti lavori di restauro, propone metafore della dimensione esistenziale, visibili e al contempo invisibili, che si presentano come sorta di mediazione tra il sé e il mondo. Per questo stabile, costruito secondo i canoni dell’architettura razionalista e la cui antica funzione era quella di casa – laboratorio delle arti, nonché ritrovo di artisti e creativi della vecchia Milano, l’intervento pensato da Alessandro Di Giampietro asseconda un processo di dematerializzazione dell’arte. Consiste in un’installazione modulabile che partecipa all’apparenza complessiva dell’edificio senza che questo perda la propria identità. The Nowness of the everyday, studiata per un edificio da sempre incubatore di ricerche e sperimentazioni, si compone di una serie di tende cucite dall’artista stesso, in cui ago e filo vengono usati come se si trattasse di strumenti per la scultura. Alterando, aggiungendo, trasformando, ogni elemento del modulo è differente dall’altro, tali entità proteggeranno dall’esterno tutte le finestre dell’edificio restituendo una differente dimensione spaziale dello stesso pur rimanendo elementi vibranti e aleatori. Con l’essere esposta alla luce delle ore del giorno e ai riflessi della notte, al sole ma anche alla pioggia e al vento, alla brezza come alle intemperie, quest’installazione site – specific, oltre a generare una voluta irritazione ottica legata agli intenti della psicologia della percezione, si apre a molte forme di scambio e di estetica relazionale non predeterminabile.
Prima di assumere il suo ruolo tradizionale e moderno, originariamente l’elemento tenda nasce per proteggere gli interni dalle eccessive radiazioni solari e per riparare dall’eccesso di luce. Tanti sono gli esempi della sua rappresentazione nelle immagini della Storia dell’Arte, essi partono da lontano, a incominciare dai mosaici della basilica romanica di Sant’Apollinare a Ravenna, dove le tessere musive rappresentano delle grandi tende raccolte da embrasse, o il tendone di velluto verde scuro nella pala sacra di Lorenzo Lotto (1521) che ripara la beata Vergine con i Santi, o ancora, l’abitudine tra gli artisti del 600 di attrezzare i propri studi da ritratto con tendaggi di vario peso per poter regolare la luce naturale.
Utilizzando differenti tessuti e superfici, sui quali il colore lascia spazio al transito luminoso, o le trasparenze dei materiali di cui l’opera si compone, il loro stadio cromatico, e tutta una serie di elementi altri, l’installazione pone se stessa in dialogo con lo spessore murario dell’architettura.
Sempre all’incrocio tra fotografia e performance, sin dagli esordi la pratica di Alessandro Di Giampietro, funzionale e provocativa, combina l’artigianato di un fare manuale, la dimensione materiale e gestuale, con correnti radicali. Così facendo, Di Giampietro sottolinea la visione di “opera aperta” e pone in ambiti paralleli l’esperienza dell’arte con una diversa modalità di pensare i rapporti umani. La sua origine processuale, carica di ironia, reiterando riti privati, ha lo scopo di riportarci ad un altrove della mente, nei luoghi dell’inatteso, a un mito, un’utopia più che altro, pur rimanendo comunque un qualcosa di fisico. Quell’altrove che si trova proprio qui, nel momento presente, racchiuso in un istante e che trasforma il luogo fisico in un luogo interiore. Anche in quest’occasione Di Giampietro affida alla stoffa e a grovigli di fili scritture indecifrabili e materiche quali strumenti per rappresentare metafore di relazione e connessione. L’atto del cucire i singoli moduli, diviene ricerca e conoscenza del sé, delle proprie origini e della propria cultura, sottolinea il legame inscindibile con un cordone ombelicale che rivela la materia come il prodotto di un assemblaggio cucito pazientemente a mano. Cucire vuol dire soprattutto “tempo”. Tempo profondo e mentale, la fragilità di qualcosa che sta insieme grazie ad un nodo come inizio, facile da sciogliere e da cancellare. Qual è il valore del tempo di un intervento pensato e dedicato ad un luogo specifico? Di un momento a cui il pubblico prende attivamente parte, per poi concludere che di ciò gli rimane solamente memoria.
Il concetto di luogo che implica quest’operazione consiste infatti nell’idea di uno spazio fluido dove si avvicendano onde di possibilità che, con magnetico spiazzamento, permettono alla mente di creare la propria singolare architettura fatta di luce e colore. Si tratta di un’operazione che depolarizza la centralità dell’io attuando un ribaltamento prospettico. La tenda, come complemento di arredo, ha sia una funzionalità estetica che una natura pratica, è un elemento fragile che pone tra il dentro e il fuori una sottile, penetrabile e sensibile divisione. La fragilità di questa condizione, quel suo essere esile diaframma che protegge le due situazioni fondanti lo spazio, vale a dire il “dentro” e il “fuori”, è una metafora della fragilità umana.
Allora il filo che tiene insieme queste instabili superfici rappresenta un appiglio, forse un approdo. Qualcosa che non fa perdere la rotta, che crea una “rete” pensata non come trappola ma come un qualcosa che impedisce la caduta.
Il “filo” anche quando invisibile, come limite infinitamente aperto.
(Rita Selvaggio – storica dell’arte e curatrice indipendente)
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