L’inclusività è un concetto di cui spesso si parla ma che non sempre trova una declinazione concreta. Il fare Arte è spesso un’attività autoreferenziale e il dispiego di una volontà identitaria, sottendente una affermazione egoica, segnica, imperante. De Molfetta pone però al centro delle sue riflessioni le disabilità, chi non ha ricevuto in dotazione biologica un impianto completamente funzionale in grado di eseguire un’opera come risultante di una sinestesia sensoriale. La sua residenza alla Casa si articola quindi come un lavoro di gruppo, eseguito a più mani, da persone mancanti di una (o più) sensorialità. Il risultato che l’artista auspica sarà un unico manufatto in creta, a grandezza umana, che potrà essere esperito dal pubblico, durante la restituzione, in una dimensione di buio completo, in modo da convocare criteri di giudizio non inquinati dal senso della vista.
